Mi chiamo Silvia Fontana, abito in Francia da due anni e più precisamente a Nancy, nell’ex Lorena. Ho ventisei anni e sono la prima componente della mia famiglia ad aver preso la decisione di vivere all’estero. Ho frequentato il liceo linguistico “G. Renier” di Mier, in cui ho studiato inglese, tedesco e francese. Dopo il liceo, mi sono trasferita a Ferrara per intraprendere la triennale in “Design del Prodotto Industriale”, vivendo degli incredibili anni universitari. È stato solo grazie all’Erasmus che ho capito che Nancy era la città in cui volevo vivere e lanciarmi a livello professionale. Per questo ho deciso di trasferirmi per i due anni di magistrale, laureandomi in “Design sociale e dei servizi” all’Ensad di Nancy.
Cosa ti ha spinto a trasferirti in Francia per proseguire i tuoi studi e la tua carriera professionale?
Probabilmente l’importanza che si dà all’aspetto artistico e socio-culturale, valorizzando professioni come l’artista o il designer, che in Italia ricevono meno attenzione. Ho capito che qui avrei potuto avere un’opportunità nell’ambito del design sociale, in cui volevo specializzarmi. Il mio obiettivo è quello di sperimentare, creare e proporre dispositivi e oggetti che possano essere utili nella sfera educativa e pedagogica, un campo molto apprezzato in Francia. Inoltre, la lingua francese, l’architettura un po’ Art Nouveau di Nancy e l’accoglienza delle persone mi hanno sempre fatto amare questa zona della Francia.
Hai completato un master in “Design des Milieux” presso l’École Nationale Supérieure d’Art et de Design a Nancy. Cosa ti ha affascinato di più di questo programma e come pensi che abbia influenzato il tuo percorso professionale?
Sicuramente l’aspetto pratico delle esperienze universitarie e la possibilità di sperimentare la propria creatività. Essendo quella di Nancy una scuola con un forte legame con il “savoir-faire” delle Belle Arti, offre una vasta gamma di laboratori (serigrafia, tipografia, stampa laser, stampa 3D, ecc.) che gli studenti possono utilizzare gratuitamente. Questo cambia completamente il modo di lavorare. Ho scelto questa scuola perché sapevo che si specializzava nel design educativo e medico-sociale, con un approccio più antropologico che industriale.
Il tuo progetto di diploma si intitola “Tik et kit – Pratique concrète pour âge concret” e si concentra sul miglioramento della concentrazione degli adolescenti con disturbi dell’attenzione. Da dove è nata l’idea e quali sono state le sfide principali nella sua realizzazione?
L’idea nasce da un percorso iniziato durante la triennale, in cui avevo già prodotto un oggetto pensato per insegnare le materie scolastiche in una scuola dell’Uganda. Mi piace lavorare con i bambini, e anche i miei oggetti diventano pedagogici, pensati per insegnare qualcosa. Avendo studiato flauto traverso per dieci anni e con una madre musicista, ho voluto integrare la musica, legandola alla pedagogia e all’ascolto attivo per migliorare la concentrazione. Le sfide principali sono state trovare le persone giuste con cui collaborare e imparare a essere autonoma, conciliando scuola e tirocini.
Hai lavorato con adolescenti in un contesto terapeutico ed educativo durante il tuo stage presso il DITEP. Puoi raccontarci un’esperienza che ti ha colpito particolarmente durante l’organizzazione degli atelier di costruzione di strumenti musicali?
Tutte le esperienze con gli adolescenti sono state formative per me, ma il primo atelier che ho organizzato mi ha colpito particolarmente. Con due ragazzi di 11 e 12 anni, con disturbi di attenzione e iperattività, abbiamo costruito un bastone della pioggia utilizzando un tubo di cartone, chiodini, un martello e del riso. Per loro è stato interessante realizzare un oggetto tridimensionale, che li ha aiutati a comprendere come era fatto e come funzionava. È stata un’ottima attività per migliorare la manualità, mantenere la concentrazione e divertirsi.
La tua formazione è stata arricchita da un’esperienza Erasmus in Francia. Come ha influenzato questa esperienza il tuo modo di approcciarti al design e alla tua vita professionale?
Più che sul design, l’Erasmus ha avuto un impatto sulla mia vita. È stato un periodo particolare perché sono partita il 1° febbraio 2020, poco prima della prima quarantena per il Covid-19. Ho trascorso due mesi in casa con i miei coinquilini, che mi hanno aiutata a non annoiarmi. Durante quell’unico mese di studio prima del lockdown, mi ha colpito molto l’approccio scolastico, ricco di workshop e attività creative. Questo spirito aperto mi ha spinta a tornare in Francia per continuare i miei studi dopo la triennale.
Quali sono le principali differenze che hai notato nel modo di lavorare tra Italia e Francia nel settore del design?
In Italia il design è percepito in modo molto industriale ed estetico, come dimostrano i politecnici di Milano e Torino. In Francia, invece, c’è una maggiore apertura verso il design sociale, educativo e medico. Nei Paesi nordici si cerca di allontanarsi dalla produzione di massa, creando oggetti utili e specifici. Il design è un settore ancora in evoluzione, ma la Francia mi sembra un terreno fertile per le mie ambizioni.
Quali sono le tue ambizioni professionali per il futuro? Ti vedi rimanere in Francia o vorresti tornare in Italia?
Penso di voler rimanere in Francia. Qui mi trovo bene e so di poter trovare un lavoro che mi piace e che è in linea con ciò che ho studiato. Mi piacerebbe anche partecipare attivamente alla vita artistica della città e della regione, ricca di festival che promuovono il lavoro di artisti e creatori.
Hai mantenuto legami con la tua terra d’origine, Belluno?
Certamente! A Belluno ho la mia famiglia, i miei amici e le mie radici. Torno almeno due volte l’anno per ricollegarmi con la mia terra natale. Penso sia importante ricordare da dove veniamo per capire fin dove siamo arrivati. Sono fiera di essere italiana all’estero, perché posso portare qualcosa alla Francia e ricevere qualcosa in cambio.
Che consiglio daresti a un giovane bellunese che sta pensando di trasferirsi all’estero per studiare o lavorare?
“Resta focus!” come si dice qui a Nancy. Bisogna ricordare sempre i propri obiettivi, essere curiosi e lasciarsi sorprendere, imparando dagli altri. Non bisogna vedere il diverso come qualcosa di negativo, ma come un’opportunità di arricchimento. E grazie a comunità come l’Associazione Bellunesi nel Mondo, si può avere sempre un punto di riferimento.
Quanto è importante il bilinguismo nel tuo percorso?
È fondamentale. Conoscere e parlare la lingua del Paese in cui si vive è essenziale. Avere una buona base linguistica grazie al liceo linguistico mi ha aiutata molto. Inoltre, il francese è simile all’italiano, e imparare la pronuncia è stato il passaggio più impegnativo ma gratificante.