Ivo Saviane è un astronomo. Formatosi tra Padova, Los Angeles e Tenerife, dal 2001 è approdato in Sud America, Cile: prima come fellow all’osservatorio di La Silla, poi all’Osservatorio del Paranal, entrambi gestiti dall’ESO – l’Osservatorio europeo australe – nel deserto di Atacama, a un’altitudine che supera abbondantemente i duemila metri, luogo ideale per studi e ricerche astronomiche, perché lontano da sorgenti di inquinamento luminoso e con un cielo notturno tra i più bui della Terra. Ma anche un luogo tutt’altro che semplice in cui vivere. Nel 2013 il ritorno a La Silla, dove tuttora è site manager dell’osservatorio.
Qual è il percorso che l’ha portata in Cile?
Mi sono laureato in Astronomia all’Università di Padova nel 1991. Qui ho ottenuto il dottorato, sempre in Astronomia, nel ‘97, e poi un post dottorato, ancora a Padova. Ho completato anche un altro post dottorato a Los Angeles e nell’aprile 2001 sono arrivato in Cile per lavorare all’organizzazione in cui opero tuttora, lo European Southern Observatory. Tutto è partito dal mio interesse per l’Astronomia e dal fatto che questa organizzazione ha i suoi telescopi in Cile, uno dei migliori posti al mondo dove osservare il cielo.
Come funziona in concreto l’osservatorio che guida?
Il suo scopo principale è quello di raccogliere dati per la comunità astronomica mondiale, e soprattutto europea. Questo significa avere dei telescopi che funzionano. La vita lavorativa è divisa in due: di notte ci sono le osservazioni, con gli astronomi e gli assistenti che li aiutano nell’impiego degli strumenti e nella raccolta dei dati. Trattandosi di macchine molto complesse, alle spalle ci deve essere un team di ingegneri e tecnici che, di giorno, si occupa di far sì che durante la notte tutto possa funzionare al meglio. Visto che siamo isolati, con la città più vicina a 160 chilometri di distanza, è indispensabile che quanti lavorano qui possano anche vivere qui. Quindi c’è un team logistico che prepara i pasti, sistema le camere e mantiene tutto in ordine. In sostanza, ci sono tre grandi gruppi di persone che lavorano all’osservatorio e il mio compito è di coordinarli. Poi ci sono aspetti tecnici che richiedono un input scientifico e quindi bisogna collegarsi con il resto dell’organizzazione. L’osservatorio è in Cile, ma il quartier generale è vicino a Monaco, in Germania, dove si trova la parte di sviluppo e tecnologia, con la quale ci raccordiamo. Quindi devo occuparmi del coordinamento sia all’interno sia con il resto dell’organizzazione. Infine, c’è una parte di amministrazione a Santiago, con la quale devo fare da ponte.
Quali sono i principali progetti di ricerca che portate avanti?
Ultimamente ci stiamo concentrando molto sui pianeti extrasolari, un campo di ricerca esploso nel ‘95, quando è stato scoperto il primo di questi pianeti. La Silla, con uno speciale spettrografo, ha scoperto la maggior parte dei pianeti extrasolari, ossia quelli che orbitano attorno a una stella diversa dal nostro Sole. Inoltre, ci stiamo concentrando sugli eventi transienti: fenomeni che – in senso astronomico – appaiono e scompaiono rapidamente: supernove, onde gravitazionali, stelle variabili. Eventi esplosivi in generale, che richiedono un’osservazione continua per verificare quando ci sono cambi da un momento all’altro. Abbiamo anche progetti che si occuperanno di vedere le controparti ottiche di onde gravitazionali. E poi un progetto congiunto con l’Agenzia spaziale europea per monitorare il cielo e rivelare la presenza di oggetti – ad esempio asteroidi – che potrebbero avvicinarsi alla Terra e rappresentare un pericolo in futuro.
La città più vicina è a oltre 160 chilometri e il luogo in cui lavora è a più di duemila metri di quota. Condizioni fisiche e climatiche non semplici. Com’è vivere lì?
Si lavora per turni alternati e di solito si rimane una settimana isolati da tutto il resto del mondo, quindi vivendo e lavorando sempre a contatto con le stesse persone. È una sfida psicologica e sociale, perché tipicamente, in un mestiere standard, dopo il lavoro si stacca, si cambia luogo e si vedono altre persone. Qui invece no. Per questo è molto importante la capacità di convivere con i colleghi e cercare di evitare i conflitti, creando un clima sereno di collaborazione. Se nasce un conflitto possono esserci conseguenze serie. Quando facciamo le selezioni risultano importanti le competenze tecniche, ma anche le capacità di interazione con gli altri.
Vive in Cile da oltre vent’anni. Cosa le piace di questo Paese?
La natura e il paesaggio sono spettacolari, molto diversi da quelli che ci sono in Europa. Deserti, vulcani dentro le foreste, molti dei quali attivi, una cosa estremamente interessante. Poi i ghiacciai nel Sud, in Patagonia, la flora e la fauna con animali che in Europa non si vedono, ad esempio i condor. Purtroppo non sono ancora riuscito a esplorare tutto il Cile nei suoi molteplici aspetti. Per quanto riguarda le persone, un luogo comune dice che i cileni sono gli inglesi del Sud America, perché magari non sono così vivaci come ad esempio i brasiliani. Diciamo che la tipica visione europea del Sud America non trova corrispondenza in Cile. È un Paese con istituzioni stabili (a parte la pagina nera della dittatura), senza grandi sorprese. Poi, come ogni posto, uno deve adattarsi a capire come funzionano le relazioni sociali. Per esempio, gli orari: uno pensa che non vengano rispettati, invece vengono rispettati, ma aggiungendoci mezzora, un’ora… dettagli ai quali con il tempo ci si abitua.
Ha studiato a Padova, a Tenerife, a Los Angeles. Un confronto tra i sistemi di formazione di Italia, Spagna e Stati Uniti?
Dal punto di vista accademico ci sono molte cose in comune e le differenze non sono così grandi come in altri campi. Sotto questo profilo, l’Italia non ha niente da invidiare al resto del mondo. In qualsiasi dipartimento di Astronomia c’è qualche italiano. La preparazione italiana è di ottimo livello e quindi la gente trova facilmente lavoro anche all’estero. Quello che si potrebbe fare in Italia è snellire un po’ le procedure di selezione del personale che fa ricerca. C’è una grande burocrazia nei concorsi, che implica un grande dispendio di risorse. Altrove le procedure sono più agili. Inoltre, servirebbero maggiori investimenti in ricerca. Alla gente può sembrare che l’Astronomia sia staccata dalla realtà e quindi non abbia senso investire, ma molte delle tecnologie che si sviluppano per questo settore trovano anche una ricaduta nel campo pratico quotidiano. La ricerca di base, anche se non ha una finalità immediata, nel lungo corso ha dei benefici per la società e per il Paese che investe.
Che legami mantiene con l’Italia?
Come ricercatore continuo ad avere collaborazioni con l’università di Padova e con altri istituti italiani, quindi ho incontri periodici per discutere i progetti. Inoltre, con internet le cose sono molto più facili. Ricordo quando negli anni Novanta, prima di lavorare all’osservatorio, lo frequentavo come osservatore e c’era solo una cabina del telefono con una linea per fare un’unica chiamata al giorno. Ora è molto più facile tenere i rapporti e uno si sente in Italia abbastanza facilmente.
Un consiglio ai giovani bellunesi che stanno pianificando il proprio futuro?
Direi che la parola chiave è tenacia. Avere una passione, cercare di mantenerla, portarla avanti e non arrendersi di fronte alle difficoltà. Se uno ha un desiderio che riesce a soddisfare, questa è la cosa più importante, indipendentemente dal tipo di lavoro che fa o dal Paese in cui lo porta avanti.
Simone Tormen