Io, Luca Deon. Non svizzero di origine italiana, ma italiano in Svizzera

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La storia di Luca Deon, figlio di Giuseppe e Teresina Deon-Perenzin. I suoi genitori si conobbero nel 1956 nella fabbrica tessile Viscosuisse a Emmenbrücke, vicino Lucerna, in Svizzera. Il destino volle che i due innamorati fossero non solo italiani, ma entrambi originari di Belluno: Giuseppe di Castion, Teresina di Trichiana.

Sei nato e cresciuto in Svizzera, figlio di emigranti bellunesi. Quanto la cultura italiana ti ha condizionato nella formazione professionale?
Sono nato a Lucerna nel 1966, terzo figlio dopo le mie due sorelle Milena (1961) e Monica (1963). In casa parlavamo l’italiano, i genitori quando si arrabbiavamo si esprimevano in dialetto bellunese, ricordo ancora l’espressione “porco cane” risuonare di tanto in tanto nella nostra casa. Così le mie sorelle e io abbiamo imparato anche a capire la lingua madre dei nostri genitori e, con essa, a conoscere la cultura bellunese e le nostre radici. Ho frequentato le scuole elementari a Lucerna, cosa non facile in un’epoca in cui la Svizzera cominciava ad avere paura degli emigranti che entravano nel Paese per trovare lavoro. Nel 1972, infatti, i partiti di estrema destra avevano lanciato l’iniziativa “Schwarzenbach”, con l’intento di liberarsi di tutti gli stranieri in Svizzera. Mi ricordo bene la paura provata dai miei genitori e dai loro amici italiani. Per fortuna la popolazione, nel frattempo, aveva imparato a conoscere i valori e i pregi della cultura italiana. Sono stati proprio gli italiani all’estero a contribuire con la loro manod’opera non solo a creare un benessere avanzato in Svizzera, ma a importare anche una nuova cultura culinaria, di eleganza e gioia di vivere. Pasta, pizza e Armani hanno conquistato il Paese in poco tempo. Così il mio destino da “povero” italiano, che durante le elementari nemmeno sapeva parlare correttamente il tedesco, si è invertito completamente. “La simpatia dell’Italo” (come venivo chiamato), sempre ben vestito e che parlava due lingue, mi ha aperto molte porte. La minaccia provata nei confronti dello straniero si è convertita in fascino. Dopo il liceo classico ho ricevuto la cittadinanza svizzera, cosa eccezionale a quell’epoca. Essendo svizzero ho fatto il servizio militare in Svizzera, cosa che ha segnato profondamente la mia trasformazione in cittadino di qual Paese, accompagnandosi alla parziale perdita della mia identità di italiano. Se prima del servizio militare ero l’italiano in Svizzera, dopo sono diventato lo svizzero di origine italiana. In seguito, ho studiato Architettura al Politecnico Federale di Zurigo. Nel 1999 ho aperto lo studio di architettura “Deon A” e, dal 2003, ricopro il ruolo di professore universitario presso la facoltà di Architettura della Hochschule di Lucerna.
Il legame della tua famigli a con Belluno è forte. Per te cosa rappresenta la terra bellunese?
Per me andare a Belluno è come tornare a casa. Una seconda dimora accanto alla mia residenza in Svizzera. Lucerna è la mia casa. Belluno rappresenta le mie origini, è il luogo dove ancora oggi vivono tutti i miei parenti.

Raccontaci del tuo prossimo cantiere, il più grande di Lucerna: 180 appartamenti con un investimento pari a 81 milioni di franchi
Al momento stiamo lavorando contemporaneamente su quattro grandi progetti. Il più grande è un complesso residenziale con 180 appartamenti, 3.000 m2 di negozi nel pianterreno con 300 posteggi per le auto. Il bello è che negli anni scorsi abbiamo portato a termine un altro progetto altrettanto grande sul lotto di un terreno adiacente e ora, con questo nuovo piano progettuale, possiamo continuare a sviluppare la nostra idea di architettura per questa parte della città. Parallelamente siamo al lavoro su un grattacielo che ospiterà negozi, uffici e appartamenti, il primo in Svizzera che verrà edificato interamente in legno. Un terzo progetto in pianificazione è un centro d’innovazione, situato sul lago di Zurigo. Il quarto, che si sviluppa su un’area di 40.000 m2, ci vede impegnati nella progettazione di fabbriche, uffici e residenze».

Sei nato con l’Associazione Bellunesi nel Mondo (1966). Secondo te cosa può fare l’Abm coinvolgendo i figli dei nostri emigranti storici categoria di cui anche tu fai parte?
La vita è ricca di storie diverse che noi esseri umani amiamo tanto raccontare. Quando penso ai nostri cari che sono scomparsi, mi rendo conto che quel che ci resta di loro sono i ricordi. Voi fate un lavoro eccezionale di raccolta dei ricordi di emigranti e loro famiglie sparsi per il mondo. Lo fate attraverso il giornale, le interviste radio, le visite, ecc… Con ciò mantenete viva la nostra storia. Per me l’Abm è il cordone ombelicale che mi lega alla terra di origine dei miei genitori e quindi anche alla mia. Magari un raduno biennale con qualche conferenza che faccia incontrare i “figli dei figli del Piave” potrebbe diventare una realtà. Sarebbe bello vederci e conoscerci dal vivo e non solo a livello “virtuale”. Allora potremmo raccogliere storie e ricordi del passato, ma anche storie del futuro, che potrebbero nascere proprio da questi incontri.

Cosa ti piace di più di Belluno e cosa meno?
Di Belluno mi piace la bella città medievale e barocca, incorniciata dalle Dolomiti, l’attenzione alla salvaguardia dell’ambiente e della natura e la cultura culinaria genuina. Amo anche la modestia della gente. Quel che non mi piace è una certa letargia, che impedisce di mandare avanti il territorio e non lascia spazio al coraggio di intraprendere vie meno tradizionali e di sfruttare meglio, a favore di cittadini e turisti, lo splendido ambiente, il patrimonio naturale e culturale bellunese.