«Chissà che non sia il destino ad avermi portato qui». A chiederselo è Breno Bortot, trent’anni, tenore nato a Brasilia, «ma per caso», precisa. Perché nella sua vita il caso sembra avere un ruolo piuttosto importante. E poi perché la sua traiettoria esistenziale più che di riferimenti fissi è costellata di spostamenti, di viaggi. Prima all’interno del Paese di origine, poi in Sud America, poi in Europa, fino ad approdare a quel “qui” del destino che in realtà è un ritorno, quasi un secolo e mezzo dopo. Sì, perché i primi a viaggiare furono i suoi avi, Bortolo e Antonio Bortot, fratelli partiti con le famiglie da Modolo nel 1883, destinazione una terra dove non dover più dividere i frutti delle proprie fatiche di contadini, una terra dove fare fortuna, non più i mezzadri. Quel nuovo mondo che tante speranze accese nel Veneto e nel Bellunese di fine Ottocento, quando prese il via quel fenomeno che ancora oggi ricordiamo con il nome di Grande Emigrazione. Breno è tornato e non gli dispiacerebbe rimanere, magari realizzando quello che con il tempo è diventato il suo sogno: essere un professionista dell’opera lirica. Anche questa una storia cominciata – quasi – per caso.
Da dove?
I miei genitori viaggiavano per il Brasile. Io sono nato a Brasilia, ma ho vissuto a Curitiba, San Paolo e in diverse città. Le origini della mia famiglia, però, sono a Pato Branco, nello Stato del Paraná.
E la passione per la musica come nasce?
Ho iniziato studiando chitarra classica all’università di Brasilia, per tre anni. In quel periodo ho cominciato a cantare nei cori e ho partecipato a un festival d’opera, da lì è scattato l’interesse per la lirica italiana. Sono stato in Argentina per un anno, lavorando in un coro, poi sono rientrato in Brasile e mio padre mi ha prospettato una possibilità: se avevo voglia di impegnarmi in questa strada potevo andare a studiare in Europa. L’Italia era la meta ideale. Prima di partire ho iniziato ad approfondire la lingua italiana e nel frattempo ho preso contatti con diversi maestri per capire se c’era l’opportunità di trasferirmi. Alla fine sono partito nel 2015 per Roma e dopo diverse domande per entrare in conservatorio in varie città, tutte andate a buon fine, ho scelto il Conservatorio di Santa Cecilia, dove mi sono laureato nel settembre 2017.
Cosa ti ha colpito dell’Italia?
Molte cose, alcune particolarmente. Per esempio i tanti microcosmi che la compongono: basta spostarsi di cinque o dieci chilometri per entrare in contatto con culture, lingue, tradizioni differenti. La bellezza della natura, che sembra uscita da una favola. E poi la cura per la gastronomia, la manifattura, l’artigianato. Viaggiare per l’Italia è come muoversi di mondo in mondo, ma c’è anche una cosa che mi ha un po’ sorpreso.
Quale?
Il fatto che oggi molti giovani, o comunque quelli che si reputano italiani moderni, tendano a dare molto peso a riferimenti culturali che sono frutto della globalizzazione, penso ad esempio al rap nella musica. Questo a discapito delle autentiche tradizioni italiane, che sono in realtà gli aspetti che il mondo esterno apprezza maggiormente dell’Italia. Lo riscontro nel mio campo, l’opera lirica, una cosa che ha reso celebre ovunque l’Italia e che proprio qui, purtroppo, non è particolarmente valorizzata.
E del Bellunese che impressione hai avuto?
Ci sono venuto per la prima volta a ottobre di quest’anno. È stato fantastico. Ho finalmente potuto conoscere i miei parenti, vedere la zona da cui partirono i miei avi, la terra che lavoravano a Modolo, un luogo di grandissima bellezza. Quando l’ho visto mi sono detto: «Perché andare via da qui?». Mi dispiace che in passato ci sia stata la necessità di lasciare questi posti e ho capito quanto difficile sia stato, quanto coraggio fosse necessario per intraprendere l’avventura dell’emigrazione.
E la tua, di avventura, dove pensi ti potrà portare?
Sinceramente, se guardo indietro, all’inizio non avrei mai pensato di cantare per lavoro. Non immaginavo di imboccare questa strada. È capitato quasi casualmente. Spero, però, che le radici dei miei antenati italiani mi diano un legame con questo mondo. Forse il destino farà sì che sia io il discendente che torna, proprio grazie alla musica. Magari chiudo il ciclo cominciato tanto tempo fa.