Le radici lo legano a Belluno. La città dove è nato ventinove anni fa e che «rimane casa, anche se ormai non è più la mia residenza». Il cuore batte per la politica, quella vera, che opera per il bene comune e contro le ingiustizie. Normale, quindi, che questa vocazione lo abbia spinto dove si prendono le decisioni. E dove le cose possono essere cambiate per davvero. Perché è proprio questo che Alessandro Da Rold vuole fare “da grande”, cambiare le cose che non vanno. O almeno provarci. E così, dopo un percorso di studi da giramondo (laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Bologna, sei mesi in Francia ad approfondire il francese, Erasmus a Sofia, altra laurea in Diplomazia all’Università Economica di Praga e tesi elaborata negli Stati Uniti, seguendo le primarie americane del 2015), da qualche anno vive a Bruxelles, la capitale dell’Unione europea, la sua nuova casa. Anche a quelle (apparentemente) grigie e fredde latitudini, spesso additate come habitat di burocrati, c’è spazio per ideali, sogni e voglia di migliorare il mondo.
Che lavoro fai?
Bella domanda! Sto ancora cercando di spiegarlo per bene a mia nonna. Da quasi due anni sono il Direttore Generale di EU40, il network dei giovani deputati europei. Nello specifico, dirigo l’organizzazione nelle attività di tutti i giorni: dalla parte più politica, che include dibattiti e campagne riguardanti le istanze dei giovani su svariati temi di ordine pubblico, alla parte più manageriale, che include il corretto funzionamento dell’organizzazione.
In concreto, cos’è EU40?
È un’organizzazione nata in seno al Parlamento europeo circa dieci anni fa. Allora, un gruppo di rampanti giovani eurodeputati, una volta eletti, hanno ritenuto che fosse importante “combattere” per delle istanze generazionali, unendo le forze e creando alleanze che poco tenevano conto del mero credo politico, con l’idea che nell’unione sta la forza. Con le Europee del 2019 ho avuto il piacere e l’onore di ricostruire questa rete, incontrando e inserendo i nuovi giovani parlamentari recentemente eletti. Ad oggi il network unisce circa ottanta parlamentari dai 27 paesi dell’Ue.
E la passione per la politica, come è nata?
È nata quando frequentavo ancora il liceo, e tornando a casa da scuola dibattevo con mio papà sulle cose che non mi andavano a genio. Ricordo lunghissime discussioni sui temi della scuola, dell’energia, e sul perché le istanze dei giovani non venissero prese in considerazione. Da lì ho deciso che avrei fatto un torto a me stesso se non avessi provato a cambiare le cose in prima persona, e così ho iniziato a fare cittadinanza attiva e politica a livello locale, trovando moltissimi giovani che avevano la stessa passione e voglia di fare. Un patrimonio che credo sia necessario coltivare di più.
Queste prime discussioni in famiglia ti hanno portato piuttosto lontano. Recentemente hai rappresentato l’Unione europea al G20 Giovani in Arabia Saudita. Di cosa si tratta?
Il G20 Giovani è uno tra i più influenti forum di diplomazia internazionale, ed è l’unica piattaforma ufficialmente riconosciuta che i giovani cittadini del mondo hanno per interagire con i leader delle più forti economie del pianeta, i paesi del G20, appunto. I delegati delle varie nazioni rappresentano le istanze di milioni di giovani cittadini e tramite negoziati della durata di circa un anno producono una serie di raccomandazioni per politiche inclusive volte a migliorare la vita delle persone. Raccomandazioni poi firmate all’unanimità da tutti i delegati e presentate ai vari presidenti e primi ministri del G20.
Che esperienza è stata?
Al forum ho trovato una comunità composta da tantissimi giovani leader provenienti dalle più diverse culture, tutti volenterosi di confrontarsi per migliorare le opportunità dei propri connazionali. Nell’arco di diversi mesi abbiamo redatto e sviluppato una serie di raccomandazioni politiche, dal rispetto dell’ambiente al futuro del lavoro per i giovani, dall’educazione scolastica all’inclusività. Partiti da circa 120 pagine di spunti, siamo arrivati ad approvare un “communiqué” di una manciata di punti cardine, non senza la necessità di lunghe negoziazioni su singoli termini che potevano creare grattacapi alle singole delegazioni.
Che temi hai portato?
I temi sui quali mi sono fortemente concentrato sono due: la partecipazione dei giovani nel processo decisionale politico e lo sviluppo delle qualità di un buon leader. Partendo dal secondo, sono convinto che chiunque possa diventare un buon leader per la sua comunità, e lo Stato ha una responsabilità nel fornire tutte le opportunità affinché chiunque lo voglia abbia modo di contribuire a migliorare le cose. D’altro canto, ho passato gran parte della mia esperienza a ricordare che, nonostante un terzo della popolazione europea sia composto da giovani di 30 anni o meno, ad oggi l’accesso al processo decisionale è solo in minima parte destinato ai giovani. Includere i giovani è non solo necessario, ma dev’essere visto come un’opportunità per portare nuove idee e cambiamenti all’interno di stanze che molto spesso sono stantie. Le decisioni di oggi contribuiscono a sviluppare un futuro che alla fine è sempre delle prossime generazioni. Potrà sembrare una frase fatta, ma è su questo punto che la Politica con la “P” maiuscola deve agire.
Quindi, cosa può e deve fare secondo te l’Ue per i giovani?
L’Unione europea è spesso data per scontata, guardata con indifferenza. In questo periodo, però, abbiamo provato sulla nostra pelle, specialmente noi residenti all’estero, cosa voglia dire non poter viaggiare serenamente tra un paese e l’altro, riabbracciare i nostri cari nel nostro paese d’origine. Ecco, questa è la forza dell’Unione europea. Per i giovani, l’Ue è fonte di speranza, per formarsi dal punto di vista accademico, per trovare lavoro e poter ampliare i propri orizzonti. Come ho recentemente raccontato a un amico, sono nato a Belluno, sono italiano, e mi sento orgogliosamente europeo da quasi trent’anni.
E l’Italia cosa può fare?
L’Italia è una tra le economie più importanti del mondo, e come tale si trova ad avere l’opportunità di essere di buon esempio per il mondo che la guarda. Lo è stata in passato e non c’è motivo per cui non possa esserlo ancora. È però necessario che lo Stato guardi ai giovani come la forza per poter risolvere i problemi odierni e futuri e agisca di conseguenza con opportunità e sostengo adeguati, sia con risorse umane che finanziare, non dedicando gli spicci delle riforme economiche. Ed è fondamentale che cada questo eterno paternalismo del giovane bamboccione che ha poca esperienza: date ai giovani un’opportunità, non ve ne pentirete.
L’Ue viene spesso percepita come una realtà di burocrati. Perché?
Questo è un problema che da quando vivo a Bruxelles provo, nel mio piccolo, a risolvere. Credo ci siano due aspetti fondamentali: da un lato c’è un’indubbia incapacità da parte dell’Unione di arrivare al cuore delle persone. L’Ue stanzia moltissimi fondi per lo sviluppo in Italia, basta guardare alla mobilità sostenibile o alla digitalizzazione. È però carente quando si tratta di comunicare questo sviluppo. Dall’altro lato, ritengo ci sia un problema nella narrazione di alcuni esponenti italiani, che additano l’Europa come la panacea di tutti i mali, proprio perché è più facile trovare consenso cercando un nemico comune esterno.
Quanto accaduto in questi mesi di pandemia ha secondo te cambiato il modo di vedere il ruolo dell’Europa da parte dei cittadini?
Credo che la pandemia abbia dimostrato che uniti si vince, anche se lontani. Abbiamo colto, ora più che mai, che è necessario avere un sistema sanitario europeo, poiché la malattia non conosce confini nazionali. Abbiamo imparato che gli aiuti sanitari, in tempo di crisi, ci possono dare una mano a salvare delle vite, poco importa da che stato vengono, e qui l’Europa ha dimostrato di essere vicinissima all’Italia. La pandemia ha anche reso evidente che siamo tutti intrinsecamente uguali. Credo ci sia più fiducia, perché la speranza ci unisce, specialmente in questo momento difficile.
E l’Unione europea come è stata cambiata dal Covid?
Penso che l’Ue abbia avuto il giusto moto di orgoglio, alzandosi e rassicurando tutti gli Stati sul fatto che non sarebbero stati lasciati soli. Il nuovo piano economico predispone un’enorme quantità di denaro per risolvere situazioni critiche create dalla pandemia, molto del quale arriverà in Italia. Non credo ci sia migliore momento per sentirsi orgogliosi di essere europei.