Da Pramaor a Blackfin. L’azienda fondata da Maria Pramaor festeggia i 50 anni di attività

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La Pramaor ha raggiunto il mezzo secolo di attività. Una storia iniziata con Maria Luisa Pramaor e Primo Del Din e che ha portato l’azienda a superare i cento dipendenti e prendere il nome di “Blackfin”. Ne abbiamo parlato con il presidente Nicola Del Din.

«La storia ha inizio nel 1961, quando, all’età di 16 anni, mia mamma fu assunta da Luxottica, ove rimase per circa nove anni. Era tra i primi diciotto dipendenti dell’azienda, come coordinatrice, caporeparto. Poi nel gennaio del ‘71 accettò la proposta di uscire dall’azienda per andare a gestire uno dei piccoli laboratori che Luxottica aveva avviato sul territorio per incrementare più velocemente la produzione. Il laboratorio affidato a mia mamma era gestito completamente da dipendenti donne, cosa che per il tempo era un fatto particolare, di cui Luxottica andava fiera. Le furono consegnate sia le attrezzature che il personale, scelto nei reparti dell’azienda. Fu davvero un caso atipico che una donna aprisse un laboratorio e che questo fosse gestito da sole donne. Inoltre era tale la stima di cui godeva, che, saltuariamente, le venivano affidati i nuovi dipendenti Luxottica ai quali bisognava insegnare il mestiere. In quel periodo rimase incinta di me, ma nonostante ciò lavorò fino a tre-quattro ore prima del parto e, dopo il parto, rimase assente soltanto una settimana. Io crebbi con i nonni, ma qualche volta, per necessità, mi portava in Luxottica, mi lasciava in portineria, nella culla, e mentre il portiere mi teneva compagnia, lei, con il furgone, effettuava il trasporto dei componenti lavorati, facendo la spola da Luxottica alla sua piccola azienda».

Pramaor
Le prime dipendenti della Pramaor

Nasce l’azienda
«Tuttavia dopo alcuni anni Luxottica stabilì che consegna e ritiro del materiale nei vari laboratori fosse un dispendio di energia e quindi decise di reinternalizzare tutto il lavoro. Così, intorno al 1986 i laboratori vennero riassorbiti e i titolari divennero capi-reparto interni a Luxottica. Mia mamma invece scelse di lasciare l’azienda per lavorare in proprio, ma a quel punto dovette chiedere il supporto di mio padre…
Mio padre era direttore di una importante fabbrica di mobili ad Agordo. All’inizio della sua carriera aveva avviato una falegnameria con soli tre- quattro dipendenti, ma grazie al suo spirito imprenditoriale arrivò ad avere un’azienda con 150-200 persone, e una linea di mobili da lui creata, e commercializzata con un marketing innovativo. Ciò nonostante per venire in aiuto a mia mamma lasciò il mobilificio e contribuì ad organizzare ed avviare la produzione dell’occhiale. Così i miei genitori iniziarono a lavorare per grossi nomi dell’industria, come Marcolin, De Rigo, e anche per qualche azienda in Germania».

Maria Luisa Pramaor mentre effettua la registrazione manuale delle montature

L’intuito del titanio
«Mio padre, che fino a quel momento non aveva avuto niente a che fare con il settore, iniziò a girare in provincia per la distribuzione dei prodotti e, frequentando l’ambiente delle micro-aziende, intuì che, a parte pochi casi d’eccellenza, mancava una vera e propria organizzazione imprenditoriale. Così decise di andare in Giappone ad acquistare nuovi macchinari e nuovi materiali, cercando di acquisire il know-how per la produzione di occhiali in titanio, materiale che presto avrebbe rappresentato anche in Italia un’eccellenza nel settore».

Tenacia, perseveranza e formazione
«Ma il titanio era meccanicamente difficile da stampare, saldare e colorare e purtroppo l’apprendimento delle tecniche in Giappone non fu sufficiente. Per impararne la lavorazione allestirono un piccolo laboratorio dove si stampavano e saldavano occhiali di prova, non commissionati dai clienti, lavorando praticamente senza profitto, solo per acquisire esperienza. Fu un periodo impegnativo e difficile, che destò molte preoccupazioni economiche, in quanto l’investimento in macchinari e materiali era stato piuttosto ingente, ma mancavano gli introiti. Poi, finalmente, dopo circa tre anni, nel ’93-94 la lavorazione risultò soddisfacente e iniziarono a produrre occhiali in titanio per Marcolin e per alcuni distributori tedeschi che vi applicavano il proprio marchio. Così, pogressivamente la qualità raggiunse livelli elevati; si producevano occhiali in titanio, carbonio e placcati-oro».

Da hobby a lavoro
«Purtroppo, però, dopo alcuni anni di malattia, nel ’98 mio padre venne a mancare. Io ero all’università degli Studi di Udine e lavoravo in azienda solo per passatempo. Improvvisamente quello che era solo un hobby dovette trasformarsi in vero e proprio lavoro, l’università divenne di secondaria importanza e per un lungo periodo non presentai alcun esame, motivo per cui mi sono laureato soltanto più tardi. La cosa accadde in modo curioso, perché quattro anni fa, tenendo un convegno a Treviso in cui presentavo Blackfin e il mio concetto di made in Italy, cioè il mio modo di lavorare nel rispetto delle persone, dell’ambiente e della tradizione, scoprii che tra il pubblico presenziava il Rettore dell’Università di Udine, dove risultavo ancora iscritto. Alla fine del convegno lo avvicinai e gli dissi che ero un suo studente, ma che da tempo mi mancavano tre esami per laurearmi. In pratica mi obbligò a terminare gli studi, presentandomi un tutor e alcuni docenti. Inoltre devo essere grato a Marta, la mia compagna, che mi ha supportato, obbligandomi a studiare durante i fine settimana. Così tre anni fa mi sono laureato, presentando una tesi sulla mia azienda».

Un percorso in salita
«Dalla morte di mio padre il percorso non è stato facile, mi sono trovato da solo a gestire l’azienda proprio negli anni ’90-2000, in cui la maggior parte dei clienti ci sfuggiva, perché era iniziata una massiccia delocalizzazione in Cina, nella convinzione, quasi generale, che la Cina fosse un El Dorado. Fortunatamente la qualità dei nostri prodotti ci garantiva comunque una minima clientela e ancora oggi, chiunque si voglia servire di un’azienda che produce occhiali al titanio con un sistema complesso, si deve rivolgere a noi».

Giancarlo Recchia
«Sono stati anni molto faticosi e complicati, ma finalmente nel 2007 la situazione ha iniziato ad appianarsi con l’ingresso nella nostra società di Giancarlo Recchia. Giancarlo ha creduto nel mio entusiasmo e nella mia visione del futuro e si è fortemente impegnato per aiutarci a uscire da una situazione economica difficile, per la quale avevamo dovuto persino ipotecare le case di mamma e di nonna. Non so se sia è vero che in certi momenti l’adrenalina produce energia, ma io, nonostante la mia indole timida e riservata, grazie alla presenza di Giancarlo mi sono sentito in dovere di reagire per il bene della mia famiglia e per garantire un futuro alla mia più giovane sorella. Giancarlo è diventato una specie di “padre aziendale”, mi ha fatto da guida e da consigliere e in un paio d’anni siamo usciti dalla crisi. Se guardo indietro, per me gli anni dal ’98 al 2007 sono stati un “Vietnam” continuo. Non è facile ogni anno, ad ogni Natale, ad ogni Pasqua, trovarsi sull’orlo del fallimento. Ricordo che la domenica sera, quando andavo a letto, avevo paura di addormentarmi perché sapevo che mi sarei risvegliato con un nuovo lunedì carico di problemi da affrontare».

Coincidenze?
«Giancarlo arrivò in azienda per una coincidenza; non apparteneva al settore, si occupava di terminali presso una ditta di Lentiai. Un amico comune gli disse che ad Agordo c’era un’azienda che, seppure in serie difficoltà economiche, sapeva produrre occhiali in titanio come nessun’altra. Così decise di venire a conoscere la nostra realtà e da Villorba iniziarono i suoi viaggi quotidiani ad Agordo.
Giancarlo condivise la mia idea di abbinare al know-how un moderno design, di creare una produzione indipendente, come già stava avvenendo in alcune aziende del nord Europa, senza bisogno di associarla ad una firma di moda per venderla ad un prezzo elevato, e di raccontare chi fossimo e con quale ideologia lavorassimo. Solo con questi criteri secondo me sarebbe stato possibile un margine di guadagno per pagare tutti i debiti e guardare al futuro. Il percorso è stato lungo, ma nel 2010 siamo giunti a Blackfin, una mini-collezione all’interno della collezione classica, composta di cinque-sei modelli molto particolari che alle esposizioni fieristiche avevano suscitato l’interesse di potenziali clienti».

Blakfin

Lo sviluppo di Blackfin
«Da quel momento abbiamo capito che bisognava concentrarsi su Blackfin e, insieme ad un amico architetto e al fotografo che avevamo ingaggiato per “scattare” la prima campagna, abbiamo formalizzato la nascita di Blackfin, riformattando il logo e “scattando” la prima campagna ben strutturata. Così dal 2013 il fatturato ha iniziato a decollare e siamo tuttora in crescita».

Collaborazioni importanti
«Dal 2014 abbiamo raccolto anche molte soddisfazioni, grazie ad alcune collaborazioni collaterali; ad esempio quella con Arrigo Cipriani, per il quale abbiamo disegnato una mini collezione che è stata esposta per tre anni nei suoi ristoranti in tutto il mondo, oltre alla sua intuizione di produrre un piccolo vassoio contenente un occhiale Blackfin da offrire ai clienti insieme al menù, oltre a un evento svoltosi a New York in un suo ristorante, in presenza dei giornalisti».

Dall’orlo del fallimento alle grandi soddisfazioni
«Dopo gli anni trascorsi sull’orlo del fallimento, queste emozioni mi hanno fatto veramente sentire “miracolato”. Tra l’altro, a coloro che spesso mi chiedono perché il logo che rappresenta l’azienda sia un pesce, voglio spiegare che il pesce, in molte culture, è simbolo di rinascita e quindi è stato scelto per rappresentare la seconda vita dell’azienda. Dal 2015, inoltre, collaboriamo con la fondazione Bocelli, principalmente donando Blackfin agli ospiti dei loro eventi, in rappresentanza dell’eccellenza italiana. Andrea stesso, da qualche anno indossa i nostri occhiali in segno di gradimento del nostro marchio e dei nostri valori».

Un’azienda… spaziale
«Nel 2016 abbiamo collaborato per un anno con l’astronauta Paolo Nespoli, cosa della quale per motivi di riservatezza non avevamo finora mai parlato. Abbiamo disegnato un occhiale molto particolare per la sua terza e ultima missione, durante la quale, con l’utilizzo di differenti tipi di lenti, sono stati effettuati alcuni test di valutazione delle modificazioni subite dalla vista durante la prolungata permanenza nello spazio. Ora abbiamo iniziato una collaborazione con Pagani Automobili, per utilizzare i nostri occhiali come omaggio ai loro clienti, nel corso di eventi internazionali. I Blackfin sono stati donati al raduno di Roma e al raduno di Austin nel Texas. Il feed-back è stato così positivo che Horacio Pagani ha chiesto di poter disegnare per noi un occhiale che lui stesso indosserà come testimonial Blackfin».

Un messaggio ai giovani
«Credere nei propri sogni, imparare a vedere le opportunità, perché le opportunità ci sono sempre, basta imparare a riconoscerle. Anche qui, nel nostro territorio, è sufficiente guardarsi intorno e dai sogni possono nascere le opportunità. Alla base però ci devono essere la passione e l’impegno, e l’obiettivo economico dev’essere solo la conseguenza della passione estrema, perché puntando solo al guadagno in modo freddo e oggettivo, non si troverà mai l’energia per superare le difficoltà».

Da sinistra Giancarlo Recchia, Oscar De Bona (presidente Abm), Nicola Del Din e Paolo Doglioni (presidente Ascom Belluno)