Francesca De Biasi. Una limanese a Londra

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Sulle orme del nonno, emigrato tra Svizzera e Venezuela. Anche Francesca De Biasi, trent’anni, ha fatto le valigie e da Limana è volata verso Londra, dove vive dall’ottobre 2021. In tasca una doppia laurea (triennale e magistrale) in Lingue e letterature straniere alla Ca’ Foscari di Venezia (anglo-americano, portoghese e francese) e un’altra laurea al DAMS di Bologna (con semestre a Lisbona). Ma soprattutto, un sogno: lavorare nel mondo della musica.

Nel frattempo, cosa fai a Londra?
All’inizio ho lavorato in un albergo come receptionist e da qualche tempo sono stata assunta in una piccola azienda di moda per la quale mi occupo di customer care, quindi di tutta la parte relativa ai rapporti con i clienti. Ho iniziato da poco, è tutto nuovo, ma sta andando bene.

Perché hai deciso di partire?
Ho sempre avuto l’idea di fare delle esperienze di studio e di lavoro all’estero. Pur amando l’Italia, sono sempre stata attratta dalle altre culture. Concluso il percorso universitario, su consiglio di un’ex collega di studi, ho deciso di trasferirmi a Londra. Una città che mi è sempre stata descritta come piena di opportunità, con tante cose da fare e da vedere. Ho voluto provare a vivere la mia avventura e dopo un primo approdo nel 2020, e un rientro quando è scoppiata la pandemia, sono tornata a fine 2021.
Come è stato l’impatto con la metropoli?
È stato intenso. Tutto è molto più grande. Ci sono tantissime persone che ogni giorno corrono di qua e di là, sempre di fretta. Ci sono i grattacieli, c’è la metro. Cose che a Belluno chiaramente mancano. Tutto è molto più frenetico, e più freddo, non solo per quel che riguarda il clima, ma anche – per esempio – nell’architettura. A proposito del clima, sarà un po’ un cliché, ma è vero che il cielo è spesso grigio, tanto che l’ultima volta che sono tornata a Limana mi sono detta: finalmente un cielo azzurro, senza nuvole.

Sul fronte socialità, com’è Londra?
Vivo in un convitto gestito da suore, con più di sessanta ragazze, studentesse e giovani lavoratrici, provenienti da tutto il mondo. Questo mi ha sicuramente aiutato a integrarmi. Un’altra cosa importante è cercare di frequentare dei corsi, andare in palestra, fare attività ricreative, così da avere modo di interagire con altre persone, altrimenti socializzare è un po’ più complicato.

La comunità italiana a Londra è piuttosto grande. Vantaggio o svantaggio?
Nel mio primo lavoro in albergo eravamo tutti italiani. Da un lato è bello perché ti senti più vicino a casa, ma in un certo senso può frenarti un po’ nel migliorare la lingua, nel conoscere altre culture. Nel nuovo lavoro, invece, sono l’unica italiana e i colleghi sono quasi tutti inglesi. L’ambiente è diverso.

Perché hai scelto proprio Londra come meta?
Sono stata influenzata da una collega dell’università che me ne parlava bene. Lei era partita qualche mese prima di me. In realtà a me piace di più il sud dell’Europa, però ho voluto tentare, soprattutto perché mi interessava migliorare l’inglese, anche se io amo in particolare l’inglese americano. Gli Stati Uniti sono il mio sogno.

Cosa ti piace della capitale inglese?
Amo moltissimo la musica e qui, tra concerti e spettacoli teatrali, c’è solo l’imbarazzo della scelta, con eventi a prezzi accessibili.
Oltre alla ricca offerta culturale, i punti forti di Londra sono le numerose opportunità lavorative e la possibilità, con una giusta dose di determinazione, forza di volontà e un pizzico di fortuna, di fare grandi cose.

C’è qualcosa che non ti piace?
Il ritmo troppo veloce, che a volte non lascia nemmeno il tempo di pensare. Si va sempre di corsa e se potessi vorrei rallentare un pochino.

Cosa ti manca dell’Italia?
La creatività nel fare le cose. Qui sono troppo rigidi, servirebbe un po’ più flessibilità. Da noi c’è più elasticità e una maggiore capacità di adattarsi. Poi mi manca la natura. Nonostante ci siano grandi parchi molto belli, quando esci ti ritrovi subito immerso nella metropoli. Diciamo che manca la dimensione verde.

Nella tua percezione, la Brexit come ha influito sulla vita quotidiana londinese?
Ha avuto tanto impatto sul mondo del lavoro. È frequente andare in giro e trovare all’esterno di bar, ristoranti o alberghi cartelli per la ricerca di personale. Annunci che restano esposti anche per mesi. È diventato più difficile trovare persone. Si è perso quel contesto in cui uno diceva “Parto, vado a Londra e mi faccio un’esperienza”. Gli arrivi sono stati resi più difficoltosi e quindi certi settori si trovano senza personale. Anche importare beni da altri Paesi è diventato più complicato, con la conseguenza che i supermercati sono meno ricchi di prodotti rispetto a qualche anno fa. Inoltre, mi è stato riferito da persone che vivono qui da tempo, che in generale c’è meno gente. Per me è difficile coglierlo, io vedo affollamento dappertutto, ma mi hanno detto che rispetto a quattro-cinque anni fa la città si è svuotata.

Prospettive per il futuro?
Per il momento mi trovo bene a Londra, però sono una persona curiosa e non mi vedo qui tutta la vita. Come dicevo, il mio sogno sarebbero gli Stati Uniti, anche se non è semplice. Mi piacerebbe lavorare in campo musicale, e farlo in America sarebbe perfetto.
In generale, il mio desiderio è quello di fare esperienze in tanti Paesi diversi, girare e arricchire il mio bagaglio personale, però alla fine vorrei tornare in Italia. Non credo a Belluno, perché per quanto mi ci trovi bene non so quanto abbia da offrire nei campi in cui vorrei lavorare. Per me, in ogi caso, è importante il legame con le radici. Torno sempre a casa volentieri: mi rigenero, mi disintossico e poi riparto.