Alessandro Coppe. Una storia di emigrazione che parte dai suoi genitori

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In questa intervista abbiamo il piacere di conoscere la bellezza della multiculturalità con Alessandro Coppe.

Alessandro, lavori in Italia, ma sei nato in Uruguay, da mamma uruguayana e hai vissuto in Argentina. In te però scorre anche sangue bellunese. Ti andrebbe di raccontarci la tua storia?
Mio padre è bellunese, in particolare di Limana e ha lavorato per una grossa ditta italiana, che si chiamava Impregilo, che realizzava soprattutto dighe. Questo ha portato mio padre a viaggiare molto e a trascorrere la sua vita all’estero. Giunto in Uruguay, ha conosciuto mia madre, uruguayana, ma di origini italiane. Infatti mia madre si chiama Venecia, proprio in onore della città di Venezia, come era usanza fare tra gli immigrati italiani. Ho vissuto fino a sei anni in Uruguay e poi ci siamo spostati nel nord dell’Argentina, dove all’epoca era stata avviata la costruzione della diga con gli argini più grandi al mondo. In quel cantiere lavoravano davvero molti italiani, tanto che era stata organizzata una scuola italiana, con professori italiani, tranne che per gli insegnanti di ginnastica e di inglese. Non mancavano comunque anche le ore di spagnolo. Al termine di ogni anno dovevamo sostenere degli esami.

Sei quindi cresciuto sapendo sia l’italiano che lo spagnolo, ma a casa che lingua parlavi?
In Uruguay con i nonni parlavo spagnolo, ma in generale mi esprimevo in entrambe le lingue. Non saprei dire però quale delle due lingue ho imparato per prima. Capisco anche il dialetto bellunese, ma parlarlo è un’altra cosa. Conosco qualcosa di più del dialetto padovano, poiché sono vissuto molti anni a Padova.

I primi anni li hai vissuti in Uruguay e poi ti sei spostato in Argentina. L’Italia quando si è inserita nella tua vita?
Fino all’età di diciassette anni sono stato in Argentina, concludendo l’anno scolastico, ovvero la terza liceo. Successivamente io e mia madre ci siamo trasferiti in Italia, poiché i lavori connessi alla diga erano quasi conclusi. Mio padre è invece rimasto in Sudamerica ancora qualche anno, essendo ormai vicino alla pensione. Ho quindi frequentato gli ultimi due anni del liceo a Belluno.

Com’è stato questo cambiamento?
Devo dire che alla fine non è stato così duro. Io stesso, all’epoca, pensavo che sarebbe stata una situazione difficile; in realtà è andato tutto molto bene, grazie anche all’ottima accoglienza. L’unico “problema” che ho dovuto superare è stato il freddo. In Argentina, infatti, fa sempre caldo e l’unico mese in cui le temperature si abbassano, ovvero agosto, la mia famiglia veniva in vacanza qui a Belluno.

Prima ci anticipavi che hai vissuto anche a Padova…
Si, ho studiato biologia e ho lavorato diversi anni all’Università di Padova. Ho sempre amato la biologia e ricordo ancora quando è nato questo amore. In Argentina ho visto un documentario della Rai, Superquark, in cui si spiegava l’evoluzione della vita sulla terra e questa tematica mi ha fatto letteralmente impazzire. Ero già un appassionato di animali e in Argentina ero sempre immerso nella natura; questo non ha fatto altro che confermare la mia volontà di diventare biologo. Appena prima di laurearmi, ho riscoperto il computer. Da piccolo avevo fatto dei corsi con il vecchio Commodore 64. Poi il fascino per l’informatica mi ha portato a diventare un bio-informatico.

Adesso dove lavori?
Attualmente sto lavorando ad Aosta, per un grosso progetto dal nome “5000 genomi per la Valle d’Aosta”. L’obiettivo è quello di sequenziare 5000 genomi sia di persone che hanno qualche problema di salute, come delle malattie genetiche, ma anche di persone in buono stato di salute. Il progetto è guidato dall’IIT – Istituto Italiano di Tecnologia, con sede a Genova.

Dove vedi il tuo futuro, ad Aosta, in altre città italiane o in Sudamerica?
Sinceramente non lo so. Ad Aosta non penso rimarrò per la vita. In Sudamerica non ho intenzione di tornare; magari ci andrò in vacanza. Non escludo invece di poter vivere e lavorare in altri paesi, visitare e conoscere nuovi posti. Vista la mia professione, molto allettanti sono i paesi come la Germania e la Svizzera.

Riesci a tornare spesso in Uruguay o in Argentina?
Sono passati diversi anni prima di riuscire a tornare in Sudamerica, perché ero davvero molto impegnato. Sono tornato a visitare i posti in cui sono nato e cresciuto quattro anni fa e l’ultima mia visita risale ad ottobre dello scorso anno. La prima volta è stata molto intensa, poiché vedere i posti in cui sono vissuto, specie in Argentina non è stato semplice. Mi ha colpito molto la grandezza di quel Paese, le ampie distese e le distanze; è un paese strutturato in modo totalmente diverso dall’Italia. Qui è infatti tutto più contenuto, ogni cittadina segue subito l’altra.

Piccola curiosità: bevi il mate?
A Salto, in Uruguay, la mia famiglia era l’unica a non bere il mate. Quindi non lo bevevo, ma non mi piace soprattutto perché è amaro. Mi piace molto di più il mate fatto nella zona di confine con il Paraguay. Si tratta di un mate freddo, perché nell’area si soffre un caldo pazzesco, e dolce perché mettono dei succhi d’arancia. Ecco questo mate mi piaceva.

Per concludere, cosa consiglieresti a un giovane che desidera fare un’esperienza all’estero di lavoro o di vacanza?
Per lavoro gli consiglierei certi Paesi Europei, Stati Uniti o il Canada. Per quanto riguarda un viaggio di piacere, il mondo è pieno di posti belli. Non posso non menzionare il Sudamerica soprattutto l’Argentina, ma anche l’Uruguay; anche se è molto piccolo, è bello e ben organizzato.

Giulia Francescon